lunedì 29 ottobre 2012

Matrimoni non miei/2. Con il disagio di Foster Wallace, ma senza la sua intelligenza.




Dopo aver partecipato all’ancestrale rito del lancio del riso/petali di rose/coriandoli (le varianti dipendono dal senso di affezione per le tradizioni/ dispregio equo-solidale dello spreco di risorse alimentari/ dispregio vegan-ambientale per l’uccisione di rose innocenti da parte dei festeggiati di turno), rito che ho sempre pensato essere una freudiana vendetta degli invitati contro gli sposi (mi hai fatto sentire un’omelia di quarantacinque minuti? Beccati questo!), è il momento di uno dei miei segmenti cerimoniali preferiti: l’alcolica fuitìna pre-aperitivo con gli amici.
Tutto si svolge in quel felice intervallo di tempo tra la fine della cerimonia e l’inizio della cena, convenzionalmente deputato alle foto degli sposi, che ha pressappoco la stessa durata di un’era geologica.
Approfitterete di quest’intervallo per fare un giro del borgo in cui è situata la chiesa e bere uno spritz in un bar del centro (avete mai visto questi gruppi di viola/celeste/gessato vestiti -totalmente fuori luogo tra quei tavolini in plastica rossa della Coca Cola- ordinare un Negroni sbagliato in dispregio del caffè corretto dei vecchietti del paese? Ecco, oggi, questo gruppo di fuori luogo, è il vostro).
Attenzione! Agli amanti delle passeggiate, consiglio vivamente di mitigare i propri spiriti d’empatia con la natura: seppur doveste imbattervi in una radura bucolica e il vostro desiderio primo fosse quello di camminare a piedi nudi nel parco, fermate i vostri impeti verdi e non togliete MAI (e ripeto MAI, per nessun motivo al mondo) le scarpe, poiché esse non rientreranno mai più. Ricordate che siete ad un matrimonio e, a meno che non siate stati invitati alle nozze scalze di Jack Johnson a bordo riva, state indossando delle calzature dalla consistenza di un cippo miliare, non certo delle Adidas.

Arrivate in villa e vi si spalanca davanti, in giardino, una serie di tavole enogastronomicamente tematiche: solo pesce/ solo carne/ solo fritti in cartoccio/ solo mozzarelle di bufala. È l’aperitivo. Voi, ragionevolemnte, cominciate a pensare che, se il paradiso esiste, deve avere proprio queste fattezze.

Ulteriore prova che meriterebbe un posto tra le discipline del Trivial Pursuit è il tableau mariage (quel cartellone più o meno simpatico in cui è scritto il vostro destino, almeno per le prossime tre ore. Un vicino di tavolo sbagliato può accelerare vertiginosamente la vostra deriva alcolica, visto che, a volte, perdere i sensi rappresenta l’unica via di salvezza).
Non so voi, ma io riesco ogni volta a trovare il nome di tutti tranne il mio. E poi, una volta che mi sono trovata, spesso mi tocca fingere di aver capito il geniale filo conduttore che lega i nomi dei tavoli. Una volta il legame tra i nomi era “città del nostro amore”: una sequenza fotografica dei monumenti (attenzione: solo i monumenti, senza alcuna didascalia) più rappresentativi delle ridenti località in cui gli sposi si erano recati nel corso del loro fidanzamento. Sui tavoli, però, a differenza del pannello esterno, non v’erano i duplicati delle foto, ma soltanto i nomi delle città corrispondenti. Ergo, se tu non riuscivi a capire che quella specie di rudere con pale in lontananza era un mulino, non avresti avuto alcuna speranza di sederti al tavolo Trapani (non è un esempio di scuola: mi è proprio successo).
La conversazione a tavola è (abbastanza) il mio forte: sono in grado di attaccare sermoni capaci di stendere anche Giobbe, ma ammutolisco di fronte ad alcune pericolosissime categorie, al cospetto delle quali si può solo scegliere la mesta via del silenzio:
a)     lo zio omofobo e sessista: dopo 60 anni di militanza in quel ramo delle opinioni che volge a mezzogiorno tra due catene non interrotte di perbenismo e democristianità conservatrice, non sarete certo voi a fargli cambiare idea;
b)    l’amica di famiglia, che si ricorda di voi da quando eravate piccole e andavate a giocare e a fare i compiti a casa della odierna sposa e che vi assedia con domande insidiosissime sulla vostra (assente) vita privata. Nel frattempo, sussurra alla vostra vicina di come voi foste carinissime da piccole, ma a partire dai 15 anni abbiate assunto abbigliamento alternativo e capelli strani. Ok, cara signora, lo ammetto, ero piuttosto freak, ma la mia posizione a favore della liberalizzazione delle droghe leggere non ha alcuna correlazione con il mio stato civile;
c)     il workaholic: è l’uomo più realizzato al mondo, ha grandi progetti per il suo futuro professionale, lavora quindici ore al giorno e mentre ti parla controlla il telefono in continuazione. Arrivati al secondo primo, ancora non ti ha mai chiesto “E tu, di che ti occupi?” (evidentemente dando per scontato che tu viva con la rendita dei tuoi possedimenti in Toscana. O, semplicemente, che non abbia nulla di interessante da raccontare);
d)    I cosiddetti “genitori a tempo pieno”: sono al primo, piccolo figlio (peraltro fichissimo e super simpatico) e vivono con sincera difficoltà questa loro uscita in società. Saranno in grado di mettervi spalle al muro per due ore sui minimi dettagli di ogni vaccinazione e sulle loro personali idee in tema di svezzamento. Salvo poi concludere con un “ma tanto tu non puoi capire”. Ah, ok, grazie.
A termine del pantagruelico menu, mi prendo la mia personale rivincita con poveri malcapitati occasionali e mi avventuro nelle mie solite, noiosissime polemiche in perfetto stile Lorella Zanardo (che è riuscita a liberarsi dallo scantinato in cui l’avevo confinata): perché la sposa lancia un bouquet? Non potrebbe distribuire fittizi titoli di studio a tutte le donne? Non capisco perché il più simbolico auspicio che tu possa fare ad una tua invitata sia quello di sposarsi, invece che vivere di viaggi e di pubblicazioni su riviste scientifiche.
[Confesso, però: al suo matrimonio, una mia amorevole amica, sapendo che avrei cercato in tutti i modi di fingere un attacco di mal di pancia durante il momento del lancio, me lo ha regalato. Non ho ancora capito se suonasse come un cazziatone (e ora fatti una vita, cretina!) o come un augurio: comunque sia, ho apprezzato moltissimo il gesto. Grazie Ilaria].
Immaginatevi dunque una maga Magò con le mani da Cristiane F (il mio smalto è sempre più sbeccato) che discetta sull’importanza della carriera. 

Penso che ora vi sia più chiaro perché non sono accompagnata.

Il matrimonio sta volgendo al termine. Io sono al quarto amaro del Capo. La vecchia amica di famiglia sta commentando con la vicina “Lo vedi? Mo’ s’è messa pure a beve, pora stella”.
È evidente che intorno a me si è creato il vuoto pneumatico e sono giù tutti a cantare “Bacio! Bacio!” (che poi la pratica provocatoria aveva un senso in una società post contadina in cui le effusioni in pubblico erano considerate terreno di conquista e di scherno. Oggi, mentre ancora si sta organizzando il coro, gli sposi hanno cominciato a baciarsi alla francese da almeno mezz’ora). Mentre fumate la centesima sigaretta, pensate che tutto questo non vi appartiene e la tentazione sarebbe quella di rifugiarvi in una agorafobia alla David Foster Wallace. In realtà, proprio come il geniale scrittore (il cui dramma consisteva nel temere di essere considerato americano e, al contempo, esserlo davvero), voi siete parte integrantissima di questa baraonda, ma non avete la brillantezza necessaria per scriverci un libro sopra.

Alla fine della giornata, le vostre scarpe avranno la dura consistenza di un sandalo giapponese (avete presente quei rigidi sandali alla Sampei?). Anzi, più precisamente, sembreranno sculture lignee (di un legno pesante, però) di sandali giapponesi.
Capelli spettinati, aria stanca e trucco colato sotto la rima inferiore dell’occhio, la vostra posa accasciata sul primo divano disponibile (siete letteralmente caduti come corpo morto cade. Vi è chiaro, a questo punto, che Dante doveva essere stato fiaccato da numerose cerimonie religiose. Poi dici che uno diventa guelfo bianco): l’effetto finale, insieme ai vostri amici, sarà quello di una pubblicità di un profumo di Calvin Klein degli anni ’90: un gruppo di emo ante litteram capitanati da una livida Kate Moss in fin di vita. Siete stremati, ubriachi, sgualciti. E lontanissimi da casa. Però, non avete alcuna intenzione di finirla qui e decidete di improvvisare un bagno notturno in piscina. Ai carabinieri incontrati sulla via del ritorno, spiegherete con occhi da cerbiatto (nel caso specifico un cerbiatto emo)  che siete state vittima di uno scherzo di cattivissimo gusto, contro la vostra volontà ;-) 

Per la fine di ottobre, l'infaticabile Branko prevede l'eccellente protagonismo di Venere nella vita degli amici della bilancia. Tranquilli: dovessi incontrare l'uomo della mia vita, opterò per una sana e indolore convivenza.
 

martedì 9 ottobre 2012

Matrimoni non miei/1. Fin qui tutto (abbastanza) bene.



Se Dio vuole, è arrivato l’autunno. E, con esso, la fine del periodus horribilis di ogni single disordinato e irrisolto che si rispetti: la stagione dei matrimoni degli amici.
Intendiamoci: non odio la scelta giuridica d’amore in se stessa (per quanto spesso valuti che la mia amica sposa –bellissima ed intelligente, come praticamente la totalità delle mie amiche – avrebbe potuto accompagnarsi ad un uomo più brillante e simpatico e non capisco proprio cosa ci trovi in questo sconosciuto medioman che per giunta non ride alle mie battute. Stai in guardia, ragazzo), né odio il matrimonio in quanto istituzione, che anzi ritengo un diritto ancora nelle possibilità di troppo pochi.
Diciamo che il mio brivido lungo la schiena è dato dai problemi di preparazione e di gestione dell’evento, in termini di eleganza, decoro e successo tra i convitati.
Pur segnando la data sull’agenda, mi ritrovo puntualmente ad essere sorpresa dall’arrivo delle nozze, con un candore e un’ingenuità degni del migliore scemo del villaggio (“Ma come, non s’era detto che avevate prenotato la data con un botto d’anticipo?” “Sì Sarè, però lo dicevamo un anno fa”. Ecco, infatti).
Quindi eccomi a meno di una settimana dalla cerimonia ancora sprovvista del giusto abbigliamento per l’evento. Gran parte dei vestiti che ho (se escludiamo le improponibili mise da Priscilla regina del deserto che utilizzo nei miei primi appuntamenti) sono già stati utilizzati in matrimoni precedenti, in cui non è inusuale che il ricco parterre di invitati sia composto dalle stesse persone.
Dunque, tutti i vestiti già usati sono bruciati, perché fotografati. Inutile sperare che siano passati inosservati: è noto che i colori matrimoniali lasciano sempre il segno nel buon gusto e nella sensibilità di ognuno: quel lilla, quel verde acqua, quel rosso inquietudine - parliamoci chiaro – non esistono in natura (dove “natura” sta per lavoro- famiglia- amici- aperitivo- teatro- passeggiata domenicale- concerto- chiacchiere sul divano- sagra della polenta. Ergo: non li metterete MAI PIU’. Tantomeno, è evidente, potrete farlo al matrimonio successivo).
La restante parte del mio armadio è composta da vestiti che possono essere indossati soltanto dopo una diligente “dieta della dott.ssa Garofalo” (un autoregime alimentare disconosciuto da qualunque associazione di nutrizionisti: niente condito con il niente. Un caffè di tanto in tanto per non svenire e un bicchiere d’acqua gassata qui e là per dare il giusto brio alla vostra giornata da dismorfofobiche).
Però io sto andando ad un matrimonio, dannazione: non ho alcuna intenzione di rinunciare a quelle scaglie di parmigiano e a quei tondi di mozzarella di bufala che di nascosto arrotolerò nel patanegra mentre faccio la fila per conquistare il mio cartoccio di fritti. Giammai.
Come al solito, finirò con un abito comprato al volo e troppo a ridosso della cerimonia per essere debitamente modificato.
All’ultimo matrimonio a cui ho partecipato indossavo un vestito decisamente troppo corto per la Romana Chiesa (mentre lo schiacciavo in fretta e furia per farlo entrare nel bauletto dopo l'acquisto, devo ammetterlo, non ho posto la giusta attenzione alla questione). Così, per evitare di sembrare una sfigata aspirante cheerleader adolescente alla Glee, su quei banchi della navata laterale, ho dovuto tenere sulle gambe le borse di tutti. Che tristezza.

Comunque, ovviamente, tra mille indecisioni, il tempo passa inesorabile. Fino alla mattina incriminata.

Faccio una doccia che non riesce ad essere rapida come vorrei (ma, voglio dire, una volta che sotto l’acqua scrosciante cominci a cantare Stairway to heaven, non puoi interromperti a metà. Il fatto che i Led Zeppelin abbiano composto canzoni da 11 minuti non è una tua responsabilità) e comincio ad essere in ritardo anche secondo l’orario di Greenwich.
Si rompono ben due paia di calze, consecutivamente. Tanto per ricordarmi che non ho la manualità leggera di Grace Kelly. Lo smalto grida ai quattro venti la sua sciatteria (avere il tempo per una corretta asciugatura è fondamentale): anche stavolta, quindi, sul fronte mani sarò una degna emula di Cristiane F dei Ragazzi dello Zoo di Berlino.
I capelli, fonati in fretta e furia, reagiscono poco e male alla piastra. Ed è subito effetto Maga Magò.
Mi sono svegliata con due ore di anticipo e guarda tu se riesco ad arrivare tardi anche stavolta (però, scusate, per una volta che passano una puntata di American Dad che non ho visto, avrò il diritto di vederla tutta? Sono occasioni rare come l’avvistamento della cometa di Halley).
Per ottimizzare il mio cafonissimo ritardo, chiamo a raccolta tutte le mie virtù di saggezza e di temperanza (NOTA: quelle che io chiamo “le mie virtù” sono in realtà le ragazze del mio immaginario circle of friends. Un circolo che va arricchendosi negli anni di donne sempre simpatiche e affascinanti, che con la loro personalità mi consigliano sui più difformi aspetti della vita.
Di tale schizofrenico consesso fanno parte, al momento: 1) Sofia Coppola, per la sua intelligenza raffinata; 2) la cantante Elisa, che con la sua timidezza poetica mi ricorda quando è il caso di tacere; 3) Tyra Banks, per i consigli sulle pose finto spontanee da tenere durante la cerimonia, nel caso in cui gli sposi avessero assoldato un pericolosissimo “autore di reportage” -che con la scusa di non essere invadente, avrà la capacità di fotografarvi sempre nel vostro lato peggiore o nell’atto del rivestimento suino dei vostri bocconcini di bufala-; 4) Clio di Clio Make Up, che giustifica i miei trucchi sparsi in borsa e la mia ansia da ritocco in qualunque bagno disponibile; 5) Lady Gaga, per prendere la vita con la giusta grinta autoreferenziale; 6) Virginia Raffaele, per buttarla sul ridere, comunque vada; 7) Alda Merini, per ricordarmi che devo essere sempre fiera di me stessa, anche se gli altri sembrano non esserlo).

Se la cerimonia è all’interno del GRA, prendo il motorino (mi metto sempre nella condizione di non fare in tempo con la macchina), riproponendo le classiche fattezze dell’animale mitologico metropolitano “metà invitata ad un matrimonio –fino alle ginocchia - /metà ragazzetta Adidas della consegna della pizza (le scarpe con 12 centimetri di tacco sono nel bauletto. Cercherò di cambiarle lontano da occhi indiscreti, anche se vi anticipo che la cosa non mi riesce MAI. Mi sgamano sempre tutti e io sono costretta ad utilizzare un fasullissimo parallelo con le abitanti di New York, che vanno in giro con le scarpe di ricambio –cioè, io ne ho viste un paio una volta sulla metropolitana di quella città, non so se la questione costituisca una regola. Ma tanto, quando sarò derisa e contraddetta, sarà perché i miei interlocutori di oggi si troveranno ormai a New York. E non credo con me-)”.

Finalmente arrivo (benedetto sia Google Maps sull’I-phone). Giusto un attimo prima dell’entrata della sposa.
La mia amica compare vestita di bianco. Fichissima. Mi sorride, e raccoglie in uno sguardo tutta la nostra amicizia. Lei è radiosa. Lui, un signore. La cerimonia, emozionante. Chiudo a chiave nello scantinato Lorella Zanardo (ci sarà tempo per slegarla) e mi godo il mio momento di commozione neanche fossi una vecchia zia. E poi è sempre poetico piangere per le cose belle (e raro: l’ultima volta mi è capitato a 14 anni, quando i ragazzi de L’attimo fuggente, in un momento di esaltazione della loro dignità, saltano sui banchi e gridano “O capitano, mio capitano”. Figuratevi voi).

Dunque, fin qui, tutto bene.
E’ dal lancio del riso in poi che non potrete più sottrarvi alla sovrastruttura nuziale.
Ma questa è un’altra storia. Che non mancherò di raccontare.

Per il mese di ottobre, il nostro non sposato Branko (lo ammetto, ho perso tempo su Google a controllare lo stato civile di uno che ha fatto i soldi con l’oroscopo) parla di una serie di grandi successi relazionali per gli amici della bilancia.
Se mai troverò nelle prossime settimane un uomo disposto a chiedermi la mano, spero almeno di avere le unghie a posto.