Dopo aver partecipato
all’ancestrale rito del lancio del riso/petali di rose/coriandoli (le varianti
dipendono dal senso di affezione per le tradizioni/ dispregio equo-solidale
dello spreco di risorse alimentari/ dispregio vegan-ambientale per l’uccisione
di rose innocenti da parte dei festeggiati di turno), rito che ho sempre
pensato essere una freudiana vendetta degli invitati contro gli sposi (mi hai fatto sentire un’omelia di
quarantacinque minuti? Beccati questo!), è il momento di uno dei miei segmenti
cerimoniali preferiti: l’alcolica fuitìna pre-aperitivo con gli amici.
Tutto si svolge in quel
felice intervallo di tempo tra la fine della cerimonia e l’inizio della cena,
convenzionalmente deputato alle foto degli sposi, che ha pressappoco la stessa
durata di un’era geologica.
Approfitterete di quest’intervallo
per fare un giro del borgo in cui è situata la chiesa e bere uno spritz in un
bar del centro (avete mai visto questi gruppi di viola/celeste/gessato vestiti -totalmente
fuori luogo tra quei tavolini in plastica rossa della Coca Cola- ordinare un
Negroni sbagliato in dispregio del caffè corretto dei vecchietti del paese?
Ecco, oggi, questo gruppo di fuori luogo, è il vostro).
Attenzione! Agli amanti
delle passeggiate, consiglio vivamente di mitigare i propri spiriti d’empatia
con la natura: seppur doveste imbattervi in una radura bucolica e il vostro
desiderio primo fosse quello di camminare a piedi nudi nel parco, fermate i
vostri impeti verdi e non togliete MAI (e ripeto MAI, per nessun motivo al
mondo) le scarpe, poiché esse non
rientreranno mai più. Ricordate che siete ad un matrimonio e, a meno che
non siate stati invitati alle nozze scalze di Jack Johnson a bordo riva, state
indossando delle calzature dalla consistenza di un cippo miliare, non certo
delle Adidas.
Arrivate in villa e vi
si spalanca davanti, in giardino, una serie di tavole enogastronomicamente tematiche:
solo pesce/ solo carne/ solo fritti in cartoccio/ solo mozzarelle di bufala. È l’aperitivo.
Voi, ragionevolemnte, cominciate a pensare che, se il paradiso esiste, deve
avere proprio queste fattezze.
Ulteriore prova che
meriterebbe un posto tra le discipline del Trivial Pursuit è il tableau mariage (quel cartellone più o
meno simpatico in cui è scritto il vostro destino, almeno per le prossime tre
ore. Un vicino di tavolo sbagliato può accelerare vertiginosamente la vostra
deriva alcolica, visto che, a volte, perdere i sensi rappresenta l’unica via di
salvezza).
Non so voi, ma io
riesco ogni volta a trovare il nome di tutti tranne il mio. E poi, una volta
che mi sono trovata, spesso mi tocca fingere di aver capito il geniale filo
conduttore che lega i nomi dei tavoli. Una volta il legame tra i nomi era “città del nostro amore”: una sequenza
fotografica dei monumenti (attenzione: solo
i monumenti, senza alcuna didascalia) più rappresentativi delle ridenti
località in cui gli sposi si erano recati nel corso del loro fidanzamento. Sui tavoli,
però, a differenza del pannello esterno, non v’erano i duplicati delle foto, ma
soltanto i nomi delle città
corrispondenti. Ergo, se tu non riuscivi a capire che quella specie di rudere
con pale in lontananza era un mulino, non avresti avuto alcuna speranza di
sederti al tavolo Trapani (non è un esempio di scuola: mi è proprio successo).
La conversazione a
tavola è (abbastanza) il mio forte: sono in grado di attaccare sermoni capaci
di stendere anche Giobbe, ma ammutolisco di fronte ad alcune pericolosissime
categorie, al cospetto delle quali si può solo scegliere la mesta via del
silenzio:
a)
lo zio omofobo e sessista: dopo 60 anni di
militanza in quel ramo delle opinioni che volge a mezzogiorno tra due catene
non interrotte di perbenismo e democristianità conservatrice, non sarete certo voi
a fargli cambiare idea;
b)
l’amica di famiglia, che si ricorda di
voi da quando eravate piccole e andavate a giocare e a fare i compiti a casa
della odierna sposa e che vi assedia con domande insidiosissime sulla vostra
(assente) vita privata. Nel frattempo, sussurra alla vostra vicina di come voi
foste carinissime da piccole, ma a partire dai 15 anni abbiate assunto
abbigliamento alternativo e capelli strani. Ok, cara signora, lo ammetto, ero
piuttosto freak, ma la mia posizione a favore della liberalizzazione delle
droghe leggere non ha alcuna correlazione con il mio stato civile;
c)
il workaholic: è l’uomo più realizzato
al mondo, ha grandi progetti per il suo futuro professionale, lavora quindici
ore al giorno e mentre ti parla controlla il telefono in continuazione. Arrivati
al secondo primo, ancora non ti ha mai chiesto “E tu, di che ti occupi?” (evidentemente
dando per scontato che tu viva con la rendita dei tuoi possedimenti in Toscana.
O, semplicemente, che non abbia nulla di interessante da raccontare);
d)
I cosiddetti “genitori a tempo pieno”:
sono al primo, piccolo figlio (peraltro fichissimo e super simpatico) e vivono
con sincera difficoltà questa loro uscita in società. Saranno in grado di
mettervi spalle al muro per due ore sui minimi dettagli di ogni vaccinazione e
sulle loro personali idee in tema di svezzamento. Salvo poi concludere con un “ma tanto
tu non puoi capire”. Ah, ok, grazie.
A termine del
pantagruelico menu, mi prendo la mia personale rivincita con poveri malcapitati
occasionali e mi avventuro nelle mie solite, noiosissime polemiche in perfetto
stile Lorella Zanardo (che è riuscita a liberarsi dallo scantinato in cui l’avevo
confinata): perché la sposa lancia un bouquet? Non potrebbe distribuire fittizi
titoli di studio a tutte le donne? Non capisco perché il più simbolico auspicio
che tu possa fare ad una tua invitata sia quello di sposarsi, invece che vivere di viaggi e di pubblicazioni su riviste scientifiche.
[Confesso, però: al suo
matrimonio, una mia amorevole amica, sapendo che avrei cercato in tutti i modi
di fingere un attacco di mal di pancia durante il momento del lancio, me lo ha
regalato. Non ho ancora capito se suonasse come un cazziatone (e ora fatti una vita, cretina!) o come
un augurio: comunque sia, ho apprezzato moltissimo il gesto. Grazie Ilaria].
Immaginatevi dunque una
maga Magò con le mani da Cristiane F (il mio smalto è sempre più sbeccato) che discetta sull’importanza della
carriera.
Penso che ora vi sia
più chiaro perché non sono accompagnata.
Il matrimonio sta
volgendo al termine. Io sono al quarto amaro del Capo. La vecchia amica di
famiglia sta commentando con la vicina “Lo vedi? Mo’ s’è messa pure a beve, pora
stella”.
È evidente che intorno
a me si è creato il vuoto pneumatico e sono giù tutti a cantare “Bacio! Bacio!”
(che poi la pratica provocatoria aveva un senso in una società post contadina
in cui le effusioni in pubblico erano considerate terreno di conquista e di
scherno. Oggi, mentre ancora si sta organizzando il coro, gli sposi hanno
cominciato a baciarsi alla francese da almeno mezz’ora). Mentre fumate la
centesima sigaretta, pensate che tutto questo non vi appartiene e la tentazione
sarebbe quella di rifugiarvi in una agorafobia alla David Foster Wallace. In
realtà, proprio come il geniale scrittore (il cui dramma consisteva nel temere
di essere considerato americano e, al contempo, esserlo davvero), voi siete
parte integrantissima di questa baraonda, ma non avete la brillantezza necessaria
per scriverci un libro sopra.
Alla fine della
giornata, le vostre scarpe avranno la dura consistenza di un sandalo giapponese
(avete presente quei rigidi sandali alla Sampei?). Anzi, più precisamente,
sembreranno sculture lignee (di un legno pesante, però) di sandali giapponesi.
Capelli spettinati,
aria stanca e trucco colato sotto la rima inferiore dell’occhio, la vostra posa
accasciata sul primo divano disponibile (siete letteralmente caduti come corpo
morto cade. Vi è chiaro, a questo punto, che Dante doveva essere stato
fiaccato da numerose cerimonie religiose. Poi dici che uno diventa guelfo bianco):
l’effetto finale, insieme ai vostri amici, sarà quello di una pubblicità di un profumo di Calvin Klein degli
anni ’90: un gruppo di emo ante litteram capitanati da una livida Kate Moss in fin
di vita. Siete stremati, ubriachi, sgualciti. E lontanissimi da casa. Però, non avete alcuna intenzione di finirla qui e decidete di improvvisare un bagno notturno in piscina. Ai carabinieri incontrati sulla via del ritorno, spiegherete con occhi da cerbiatto (nel caso specifico un cerbiatto emo) che siete state vittima di uno scherzo di cattivissimo gusto, contro la vostra volontà ;-)
Per la fine di ottobre, l'infaticabile Branko prevede l'eccellente protagonismo di Venere nella vita degli amici della bilancia. Tranquilli: dovessi incontrare l'uomo della mia vita, opterò per una sana e indolore convivenza.