"E quindi sei ancora single? Ma quanti anni hai?"
S.: "25"
"Ah, vabbè, ma non ci pensare proprio a legarti! Goditi la tua libertà!"
"E quindi sei ancora single? Ma quanti anni hai?"
S.: "30"
"Ah, vabbè, ma sei comunque giovane, c'hai ancora tempo per fare tutto".
"E quindi sei ancora single? Ma quanti anni hai?"
S.: "34"
"Ah".
domenica 23 settembre 2012
domenica 9 settembre 2012
Primi (e spesso ultimi) appuntamenti. La debacle.
Per quanto possiate scendere in ritardo, prima o poi dovrete
affrontare questo incontro.
Scendete le scale di casa e subito vi è chiaro quanto la
pretesa femminile di dare la responsabilità di un corpo umano ad un rocchetto
affusolato vada contro qualsiasi legge della fisica.
Cioè: avete esagerato, dannazione, quei tacchi non vi
appartengono. Non vi resta che confidare nella “serata ristorante”. E’ noto
infatti che nell’armadio di ogni donna vi sono scarpe dalle diverse gradazioni
d’ardimento. Si va dalla giovanilistica scarpa
motorino, alla più alta –ma pur sempre comoda- scarpa sanpietrino, di cui butterete comunque il tacco la sera
stessa, alla scarpa alta e slanciata,
però ci devo guidare e poi se parcheggio lontano comincio a odiare tutti.
La tipologia più sfrontata, ma certamente anche la più bella,
è la scarpa ristorante.
Non sapete neanche voi che cacchio vi è passato per la testa
quel pomeriggio, quando l’avete comprata. Avete speso un milione di dollari per
una calzatura diffidata da qualsiasi associazione medici ortopedici. Che non
metterete praticamente mai (ma sono meravigliose, di una bellezza a cui si
perdona qualunque cosa. E tanto basta).
Perseverando nella vostra follia, ad oggi, quelle scarpe con
tacco e plateau assurdi continuano ad essere le vostre preferite, ma potete
metterle solo a costo di NON camminare. Avete letto bene: sono scarpe
soprammobile (spesso pesanti e dure proprio come un comò del settecento), non
scarpe per camminare. Condicio sine qua
non è quella di passare da una seduta (quella della macchina, rigorosamente
al posto del passeggero) all’altra (quella del ristorante). Quei 14 centimetri
carichi di plusvalore hanno infatti un
chilometraggio limitatissimo. Vi serviranno soltanto per fare un figurone dal
parcheggio al tavolo. E i vostri accompagnatori penseranno anche che siete
fichissime perché riuscite a camminare su quei trampoli (l’autonomia di sfilata
ammonta a circa 20 passi, ma questo loro non dovranno saperlo mai). E, in
fondo, questo era il vostro obiettivo.
Si arriva al ristorante, scelto da lui. Una giusta via di
mezzo tra Roma nord e Roma sud. Bene, giocate semi-in casa.
Il menu è un trionfo di succulente bontà. Voi prendete in
considerazione solo piatti leggeri, come si conviene ad una gentildonna, schernendovi
con (fintissimo) imbarazzo: “No, guarda, la fiorentina proprio non ce la farei
a finirla, sarebbe un peccato (il ristoratore di Ariccia che vi ha visto
mangiare pane e porchetta come un camionista qualche sera prima, sarebbe pronto
a smentire prontamente questo atteggiamento vittoriano).
Dunque, per esclusione: il pesce, no. E se me lo portano da
spinare? Mi toccherebbe ingoiare spine e pallocchi di pane con finta nonchalanche per tutta la sera. E poi
non so distinguere le posate giuste e non ho mai capito a cosa serva quel
coltello tipo a paletta appuntita.
La pasta, nemmeno. Odio non poter fare la scarpetta, per non
parlare del fatto che il mio vestito chiaro avrebbe i minuti contati grazie ad
un pericolosissimo sugo.
Alla fine, ordinate un piatto di carne bianca. Lui avrà tutta
la vita per scoprire che sareste in grado di mangiare un intero bue. Un giorno
lo verrà a sapere, certo, ma quel giorno non sarà oggi.
L’atmosfera è bella, ma la conversazione vi catapulta in un
fantamondo che non vi appartiene: il discorso verte su casa a Sperlonga e cene
all’Argentario. Di giovanili e fantastiche scorribande a Capocotta, su cui voi
avreste certamente da dire la vostra, non vi sarà traccia.
Avevate capito sin dal vostro primo incontro che qualcosa vi
divideva socialmente, quando avete notato che le maniche corte della sua
maglietta non avevano –a differenza della vostra- quelle sciatte pieghette sui
bordi: lui ha la donna di servizio; voi avete imparato a memoria tutte
le puntate del Dr. House tra una
camicia e l’altra (ma quando la tua situazione debitoria è più esilarante di
quella della Grecia, devi pur stabilire delle priorità).
E’ subito ansia da prestazione. Forse è il caso di fare coming out e rivelare che non siete MAI
state a Ponza, che il vostro I-phone è in comodato d’uso con la Tre e che non è
vero che NON avete un Mac solo perché “subite il fascino del Pc” (vabbè).
Prima o poi verrà a saperlo, tanto vale essere se stesse. Tanto,
se preferite i centri sociali agli aperitivi di Ponte Milvio (e viceversa),
verrete scoperte presto. Ed è lì che vi fregate.
Più che il passato di una principessa, i vostri racconti d’infanzia
ricordano quelli di Huckleberry Finn. Pacche sulle spalle e piedi scalzi, mele
e merendine sgranocchiate su un muretto, rassegne estive di film scroccati da
un’impalcatura nascosta (cosa che faccio tuttora: per chi fosse interessato,
consiglio lo strategico appostamento su Ponte Fabricio durante l’estate
cinematografica dell’Isola Tiberina. Nelle serate in cui l’audio è
sufficientemente alto, Ozpetek sarà vostro a costo zero).
Insomma, per le cose su cui voi andate forte, lui ha già i
suoi amici. In voi sta cercando una donna accogliente e discreta, non un Tom
Sawyer con la maglietta dei CCCP e abbonato a Vanity Fair (sono sempre stata una
donna dei due mondi)
Comunque, il peggio accade quanto tentate di essere
affascinanti a buon mercato. Io, personalmente, ho una cultura conversativa da
settimana enigmistica. So per certo dell’esistenza di grandi civiltà tra il
Tigri e l’Eufrate e con quante O si scriva Waterloo, ma mi sfugge completamente
cosa vi sia accaduto.
Poichè voi puntate sull’impressione
di una cultura solida, il vostro interlocutore darà per scontati argomenti su
cui, in realtà, brancolate totalmente nel buio. Per sopperire alle vostre mancanze e non
farvi cogliere in fallo, è sempre prezioso l’aiuto del nostro Steve Jobs, che
ha passato la sua vita ad essere hungry e foolish per aiutarci a non perderci in
strada, per chiamare gratis e per evitarci eccessive figure di merda a tavola.
Approfittando di un momento di sua assenza, aprirete Safari
per scoprire di chi diavolo lui stia parlando da dieci minuti a questa parte.
Attenzione!
Per esperienza personale, vi ricordo che, all'apertura successiva, Safari
visualizzerà di default l’ultima pagina consultata (cioè Wikipedia, con il nome
di quel regista coreano su cui voi avete annuito abbondantemente).
A
me, naturalmente, è successo. La signorilità del mio accompagnatore lo ha reso
gentilmente cieco e muto, ma io in quel momento di panico non ho avuto altre idee che simulare un
attacco isterico di tosse, tanto per cambiare l’argomento di attualità in quell’attimo.
La mia eredità morale è dunque questa: mentite soltanto entro
i confini della realtà, altrimenti vi toccherà fingere un malore affinché lui
ricordi la serata come “quella volta in cui non ti sei sentita bene”, invece
del ben più terribile “quella volta che hai fatto la figura della sfigata”.
Iscriviti a:
Post (Atom)