martedì 26 giugno 2012

Primi (e spesso ultimi) appuntamenti


Nonostante il mio parco amicizie sia piuttosto ampio, nonostante abbia rivestito con fierezza -e per diversi anni- la carica di rappresentante di classe, nonostante lavori a contatto con svariate persone al giorno, ancora non sono in grado di gestire con la dovuta sicurezza un primo appuntamento. Sì, avete capito bene: tutte le sere passate a dispensare consigli sul girl power, sull’autostima, sulla fondamentale necessità di imparare a memoria gli ammonimenti di Coco Chanel, sul lui deve soltanto ringraziare gli dei se ha avuto l’occasione di conoscerti, diventano immediatamente serate di parole in libertà alla Filippo Tommaso Marinetti. Mi fossi messa a dire zang tumb tumb, sarei stata intellettualmente più onesta. 
Quando si tratta di vivere l’esperienza diretta della prima uscita con il mio agognato cavaliere, infatti, sono la versione fluo di Mr. Bean (fluo, perché le mie miserie fantozziane non sfuggono proprio a nessuno degli astanti, neanche fossi l’insegna di un ristorante cinese. E che cavolo, mai che uno fosse girato dall’altra parte quando mi rimane il tacco incastrato nel sanpietrino e perdo miseramente la scarpa).

Questi gli ingredienti di una imbarazzante ricetta. Di solito, la mia.

Lui ti invita.
Tu fai finta che un giorno vale l’altro, figurati: due gocce di Chanel n.5 e via con i tuoi jeans preferiti. Te lo può dire anche all’ultimo, dipende solo dai tuoi impegni. Ti piacciono le cose semplici, è bello che lui ti conosca da subito per quella che sei, senza artifici; non hai mai condiviso chi si spaccia per una persona diversa da se stessa. E poi, quello che conta è avere un buon carattere: la bellezza è passeggera! L’hai imparato da Battiato, una sera, mentre ti lavavi i denti con concentrazione (solo dopo scoprirai che il suo era un riferimento colto alla filosofia di Eraclito e al panta rei, non al fatto che l’importante è la simpatia. Comunque, vabbè).
Quello che accadrà realmente è che tu farai finta (appunto) di avere impegni per almeno dieci giorni (sai com’è, solo questa settimana ho quattro aperitivi, non so a chi dare i resti), durante i quali, in realtà, stabilirai per te stessa una tabella di marcia di bellezza talmente severa che il generale di Full metal jacket sembrerà tata Francesca del trittico di SOS TATA (tata Francesca è la superbuonetta bionda; le restanti componenti sono: tata Lucia –la master of puppets- e tata Hitler):
digiuno assoluto-ceretta-lampada UV-manicure-pedicure-acquisto vestito nuovo per l’occasione (non avete mai avuto dei jeans preferiti, vi stanno proprio male. E poi i jeans sono un’invenzione calda d’inverno e fredda d’estate, con tasche inutili in cui non dovrete mai mettere una chiave inglese da operaio di Manhattan degli anni ‘20. In compenso, dell’operaio newyorkese, sembreranno le vostre gambe)-acquisto tacco 12 per l’occasione-maschera capelli una volta al giorno-cura certosina delle sopracciglia-scrub fino alla consunzione.
E’ vero, lui offrirà la cena. Ma a voi, conti alla mano, quella cena sarà costata come un soggiorno a Capri.

Tutto questo, naturalmente, rimarrà nel segreto delle vostre stanze e quella sera, a cena, quando – se tutto va bene – vi diranno che state benissimo, voi risponderete: e pensare che ho messo la prima cosa che ho trovato in armadio. Neanche mi ricordo quando l’ho comprato!
 
Per quanto mi riguarda, un sentore di goffa disfatta pervade l’atmosfera del mio ego già durante la mia vestizione casalinga, quando cospargo il letto di tutti gli indumenti e di tutte le scarpe che possiedo (già non sono più sicura degli acquisti del giorno prima), nonché di qualunque altra cosa sembri meritevole di essere indossata.
Di solito la fase “cosa mi metto” richiede una visione chiara delle proprie risorse, che io ho il vizio di giustapporre un po’ troppo alla rinfusa. Un big bang dell’abbigliamento da cui, a differenza del processo cosmico, non sortirà alcun mondo razionale. Salvo poi pentirmene, quando, tornando a casa distrutta, alle 4 del mattino, con i piedi che implorano pietà e la testa che mi ricorda che non ho più 18 anni (io negli anni ’90 non ci nascevo; negli anni '90 piangevo Kurt Cobain e speravo che non uscisse greco allo scritto), mi ritrovo costretta a riordinare il tutto, se non voglio dormire in una coltre di paillettes che mi si stamperanno sul viso nottetempo e di tacchi che si conficcheranno opportunamente nelle mie non abbronzate gambe.

La vostra gonna preferita ha l’orlo sfatto e non avete tempo di sistemarlo adesso. Fuori uno. Il vestito rosso portafortuna (ognuno di noi ha un vestito portafortuna per gli appuntamenti) è di quelli severissimi: talmente fit che non vi perdona se solo siete più grasse di un chilo rispetto allo scorso anno. Anzi, a dire il vero non vi perdona neanche se vi bevete un bicchiere di acqua gassata. Fuori due. Aiuto. Vada per il nuovo acquisto.

Ed è così, con un ultimo sguardo allo specchio in cui date prova delle vostre espressioni migliori (sono anni che mi esercito senza successo nell’alzare il sopracciglio, ma non mi è mai riuscito. Uno dei crucci più grandi della mia vita, insieme all’incapacità di fischiare con le dita come un pastore e a quella di non riuscire a dividere le dita in coppia di due per fare un saluto venusiano o imitare Robin Williams in Mork e Mindy), che passate al reparto accessori.


Lui citofona. Voi, siete ancora a carissimo amico.
Ovviamente, una volta scese in ritardo, vi giustificherete con un falsissimo: scusami tanto, ho ricevuto una telefonata proprio mentre ero sulla porta (che poi ormai al numero fisso vi chiama solo vostra madre e il servizio clienti Sky: è evidente che non vi crederà nessuno).


Appena salite in macchina, l'affascinante amico al volante sembra apprezzare le vostre scelte stilistiche, completamente inconsapevole del fatto che sul letto giaccia un Guernica di panni sfusi e che sotto il vostro vestito trionfi la peggiore svendita della Upim (ecco dunque svelato il mistero per cui, sodali accompagnatori, non vi facciamo mai salire a casa al primo appuntamento).

Partite per andare a cena. Oramai, non potete più sfuggire al confronto. 
Qui si parrà la vostra nobilitate.

Continua...

venerdì 22 giugno 2012

Eravamo quattro amiche al tiaso

Ok, faccio coming out: nutro un appassionato amore per tutte le donne e per le mie amiche in particolare. Purtroppo Dio, dopo avermi dato questo dono sororale, pentitosi di tanta magnanimità, mi ha punito con un'eterossualità indubbia. Chiedetelo pure ai miei amici, digitando le parole chiave: modello della pubblicità di Dolce&Gabbana tra i faraglioni - Luis Figo - Rafael Nadal.

Questo legame di genere mi porta a collezionare una serie di approcci sbagliati con gli uomini con cui esco, dei quali difendo a spada tratta -perdendo immediatamente tutto il mio carisma e il mio sintomatico mistero- ex mogli ed ex fidanzate, ogni qual volta che il mio gentile interlocutore si lancia nel pericoloso guado del complimento comparativo ("Come sei divertente! Altro che la mia ex!"): è a questo punto che, di solito, attacco con il mio comizio sulle difficoltà di una donna di conciliare i suoi tempi di vita con quelli di lavoro, che l'emancipazione è un processo ancora lungo e che per certi uomini gli anni Settanta sono passati totalmente inosservati.
E' evidente che non sarò mai più richiamata.

Ma soprattutto, un siffatto sentimento di sorellanza fa sì che nel momento in cui una delle mie amiche mi presenta il suo futuro marito, la mia reazione interiore oscilli con dimestichezza tra una dolce malinconia saffica e una furia erinnica simile a quella di Uma Thurman katanamunita in Kill Bill (entrambi i Voll.).
Alla notizia del matrimonio, quindi, una parte profonda di me sguaina la sacra arma di Hattori Hanzo (che nella vita generalmente riservo a certe difficili mattinate in posta o in banca o al momento della richiesta ferie in ufficio) ed inscena una cruentissima puntata di Grattachecca e Fichetto, in cui sono colta da follia distruttrice. Il mio spirito femminista oltranzista (che il grande ZeroCalcare rappresenterebbe per convenzione con le fattezze di Lorella Zanardo) vorrebbe porre alla mia amica delle sacrosante domande. Per esempio: "Mo' che è 'sta fissa di sposarsi a tutti i costi? Ma noi non siamo quelle che si sono sempre battute per una legislazione seria a tutela delle coppie di fatto? E, soprattutto, chi è questo? Chi lo conosce?".
Quello che gli astanti vedranno, naturalmente, al di fuori della realtà virtuale, sarà un sorriso composto e un "Ma dai! Che bello! E avete già deciso la data?".

Di Saffo (seconda protagonista del mio bifrontismo emotivo), invece, mi sovviene sempre quel frammento in cui racconta di come la sua più preziosa amica abbia trovato un compagno e stia per abbandonare per sempre l'isola di Lesbo. Lei ha un sorriso triste, perchè sa che, da quel momento in poi, un po' la perderà per sempre.
"Chi rimarrà a chiacchierare con me in pigiama fino alle tre di notte? Con chi inventerò un nickname tremendo per andare in chat a scovare i più improbabili utenti? Con chi parlerò di Calvino e di Italo Svevo mentre lo smalto si asciuga?" (Ok, questa non è Saffo, fatta eccezione forse per il pigiama party e lo smalto).
Non credo che lo sconforto di Saffo, nel congendarsi dalle sue nubende, dipendesse esclusivamente da questioni di orientamento sessuale. Secondo me la sua tristezza dipendeva soprattutto dalla  consapevolezza che la magia di Lesbo esiste solo a Lesbo. Che è un po' la metafora poetica di quel territorio di unione femminile in cui ci si capisce soltanto con un movimento di un sopracciglio, in cui presti il tuo vestito alla tua amica, ma poi decidi di regalarglielo perchè sta molto meglio a lei che a te, in cui ho visto una cosa che secondo me era proprio la tua e te l'ho comprata, in cui non ti muovere, arrivo in un attimo, in cui come sarebbe ti ha lasciato? Ma è pazzo? Si mangerà la mani per sempre, in cui si passa con estrema nonchalance da una questione vitale alla posta di Mina su Vanity fair.
Non credo che gli uomini abbiano mai compreso del tutto questa magia potente, preferendo parlare spesso di gelosie al femminile e di fidanzati rubati e di cattiveriette di bassa lega. Mi è sempre sembrata un'interpretazione superfciale, da dilettanti allo sbaraglio. Da esegeti da palcoscenico della Corrida di Corrado, per intenderci.

In tutti i modi, la data del matrimonio della mia amica é arrivata. E io l'ho affrontata, come al mio solito, con una serie imbarazzante di ritardi e di errori d'etichetta, che vi risparmio.
Anzi, sappiate che non ve li risparmierò.

Per questo fine settimana, il non-sposato Branko vaticina "ammirazione per le donne" (lo vedete che lo dicono anche le stelle?) e "uomini corteggiati" . Nessuna pronuncia sulla risposta di questi fantomatici uomini al mio corteggiamento, ma, visto che domani sarò al Gay Pride, non credo che mi lancerò in alcun tentativo.